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6 Settembre 2022Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte Costituzionale, chiamata a rispondere circa la legittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.c. nell’ambito del giudizio promosso dal Tribunale ordinario di Verona, ha chiarito la portata del divieto imposto dalla norma richiamata circa l’applicabilità del c.d. “ne bis in idem”, ossia il divieto di un secondo giudizio per i medesimi fatti.
Segnatamente, con ordinanza del 17 giugno 2021, il Tribunale ordinario di Verona, sezione penale, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 649 del codice di procedura penale, censurandolo “…nella parte in cui non prevede l’applicabilità della disciplina del divieto di un secondo giudizio nei confronti dell’imputato, al quale, con riguardo agli stessi fatti, sia già stata irrogata in via definitiva, nell’ambito di un procedimento amministrativo non legato a quello penale da un legame materiale e temporale sufficientemente stretto, una sanzione avente carattere sostanzialmente penale ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dei relativi protocolli…”, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU).
Nello specifico, pertanto, ciò di cui si tratta è il c.d. “doppio binario sanzionatorio” il quale si ha nel caso in cui per una determinata condotta vi siano più di una possibilità sanzionatoria, sia di carattere penale che amministrativo, come nella fattispecie in esame.
Nel caso di specie, difatti, il Tribunale rimettente eran investito dell’opposizione a un decreto penale di condanna alla pena della multa pari a 8.100 euro, ed era chiamato a giudicare della responsabilità dell’ imputato del reato previsto dall’art. 171-ter, primo comma, lettera b), della legge 22 aprile 1941, n. 633 (Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio), per avere, a fini di lucro, detenuto per la vendita e riprodotto abusivamente, presso la copisteria di cui lo stesso è titolare, opere letterarie fotocopiate oltre il limite consentito, in numero pari a quarantanove testi.
Per la medesima condotta, l’imputato, in solido con la società gestrice della copisteria, era già stato colpito, ai sensi dell’art. 174-bis della legge n. 633 del 1941, da sanzione amministrativa ormai definitiva, per l’importo di 5.974 euro, pari al doppio della sanzione minima (103 euro) moltiplicato per venticinque libri di testo, dei quarantanove totali, dal prezzo non determinabile, oltre a un terzo dell’importo massimo previsto per le opere il cui prezzo di vendita era conosciuto.
La Corte Costituzionale ha fornito chiarimento alla questione evidenziando che “il diritto al ne bis in idem trova esplicito riconoscimento, a livello internazionale, nell’art. 4, paragrafo 1, Prot. n. 7 CEDU, ove si prevede che “nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato”.
Inoltre, la Corte Costituzionale nell’ambito della medesima pronuncia ha enunciatp i criteri in base ai quali vi possa essere la violazione del ne bis in idem, ovvero:
– la sussistenza di un idem factum: presupposto che la giurisprudenza identifica nei medesimi fatti materiali sui quali si fondano le due accuse penali, indipendentemente dalla loro eventuale diversa qualificazione giuridica;
– la sussistenza di una previa decisione che concerna il merito della responsabilità penale dell’imputato e sia divenuta irrevocabile, non essendo più soggetta agli ordinari rimedi impugnatori;
– la sussistenza di un secondo procedimento o processo di carattere penale per quei medesimi fatti.
La Corte Costituzionale, infine, ha spiegato come non sempre l’inizio o la prosecuzione di un secondo procedimento concretizzi una violazione del principio del ne bis in idem, ma “una tale violazione deve, infatti, essere esclusa allorché tra i due procedimenti vi sia una «connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta»”.
La Corte Costituzionale, pertanto, si è espressa nei seguenti termini: “Il mero richiamo compiuto dall’art. 174-bis della legge n. 633 del 1941 alle «violazioni previste nella presente sezione», e dunque anche a quelle contemplate come delitto dall’art. 171-ter, rende gli ambiti dei due illeciti – quello amministrativo e quello penale – in larga misura sovrapponibili. Vero è che, sul piano dell’elemento psicologico, il delitto deve essere necessariamente qualificato dal dolo dell’agente, che non è viceversa necessario ai fini dell’integrazione del corrispondente illecito amministrativo. Tuttavia, rispetto all’area in cui i due illeciti si sovrappongono – rappresentata dall’insieme dei fatti materiali descritti dall’art. 171-ter in concreto commessi con dolo – le due disposizioni fanno sì che il loro autore sia sanzionato più volte per un idem factum: concetto, quest’ultimo, da apprezzarsi secondo il criterio riferito al medesimo accadimento storico e non alla sua qualificazione legale, che è costantemente adottato dalla giurisprudenza della Corte EDU a partire dalla poc’anzi menzionata sentenza Zolotoukhine, e che è del resto stato accolto in termini inequivoci anche dalla giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 200 del 2016).
La previsione di due distinte classi di sanzioni (l’una penale, l’altra amministrativa) per le medesime condotte comporta poi, altrettanto fisiologicamente, la prospettiva di più procedimenti sanzionatori che si sviluppano parallelamente o consecutivamente nei confronti del loro autore: l’uno condotto dal pubblico ministero, l’altro dal prefetto. Sicché, non appena uno di tali procedimenti giunga a conclusione attraverso l’adozione di una decisione definitiva sulla responsabilità (penale o amministrativa) dell’interessato, è altrettanto fisiologico che il procedimento ancora aperto – o ancora da iniziarsi – divenga un bis rispetto al procedimento già concluso ai fini della garanzia all’esame.
Né appare dubbia, a giudizio di questa Corte, la natura punitiva delle sanzioni amministrative previste dall’art. 174-bis della legge n. 633 del 1941 alla luce dei criteri Engel e della stessa giurisprudenza costituzionale…”.
In conclusione, pertanto, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 649 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il giudice pronunci sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere nei confronti di un imputato per uno dei delitti previsti dall’art. 171-ter della legge 22 aprile 1941, n. 633 (Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio), che, in relazione al medesimo fatto, sia già stato sottoposto a procedimento, definitivamente conclusosi, per l’illecito amministrativo di cui all’art. 174-bis della medesima legge.