
Mobbing e condotta del datore di lavoro, pluralità di comportamenti persecutori
2 Agosto 2022
Corte Costituzionale: Sentenza n. 149/2022 – ne bis in idem nel giudizio penale e amministrativo. 
29 Agosto 2022La Corte di Cassazione è intervenuta sul tema della spettanza dell’assegno sociale ex art. 3, comma 6 della L. n. 335/1995 il quale subordina il diritto alla corresponsione al solo requisito dello stato di bisogno effettivo del titolare, il quale può essere desunto dall’assenza di redditi o dall’insufficienza di quelli percepiti in misura inferiore al limite massimo stabilito dalla legge. Nello specifico la norma in esame prevede che: “Se il soggetto possiede redditi propri l’assegno è attribuito in misura ridotta fino a concorrenza dell’importo predetto, se non coniugato, ovvero fino al doppio del predetto importo, se coniugato, ivi computando il reddito del coniuge comprensivo dell’eventuale assegnosociale di cui il medesimo sia titolare. I successivi incrementi del reddito oltre il limite massimo danno luogo alla sospensione dell’assegno sociale. Il reddito è costituito dall’ammontare deiredditi coniugali, conseguibili nell’anno solare di riferimento. L’assegnoè erogato con carattere di provvisorietà sulla base della dichiarazione rilasciata dal richiedente ed è conguagliato, entro il mese di luglio dell’anno successivo, sulla base della dichiarazione dei redditi effettivamente percepiti. Alla formazione del reddito concorrono i redditi, al netto dell’imposizione fiscale econtributiva, di qualsiasi natura, ivi compresi quelli esenti da imposte e quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva, nonchè gli assegni alimentari corrisposti a norma del Codice Civile. Non si computano nel reddito i trattamenti di fine rapporto comunque denominati, le anticipazioni sui trattamenti stessi, le competenze arretrate soggette a tassazioneseparata, nonché il proprio assegno e il reddito della casa d’abitazione. Agli effetti del conferimento dell’assegno non concorre a formare reddito la pensione liquidata secondo il sistema contributivo ai sensi dell’articolo 1, comma 6, a carico di gestioni ed enti previdenziali pubblici e privati che gestiscono forme pensionistiche obbligatorie in misura corrispondente ad un terzo della pensione medesima e comunque non oltre un terzo dell’assegno sociale.”.
Orbene, nella fattispecie si trattava del caso di un coniuge il quale adiva la Suprema Corte avverso la sentenza della Corte di appello di Campobasso che, in riforma della sentenza del Tribunale di Campobasso, aveva respinto la domanda del ricorrente tesa al riconoscimento giudiziale dell’assegno sociale, ritenendo insussistente lo stato di bisogno per avere l’interessato rinunciato ad un assegno di mantenimento adeguato in sede di separazione consensuale con la moglie (150 euro, a fronte del godimento da parte del coniuge di una pensione di circa 950,00 euro mensili),così volontariamente realizzando le condizioni per trasferire sull’ente pensionistico, e dunque sulla collettività, l’obbligo di mantenimento gravante su altri soggetti.
Orbene, la Corte si è pronunciata sulla questione chiarendo che la normativa “…non prevede che la richiesta di assegno di mantenimento al coniuge separato possa rilevare nè ai fini dell’accesso al diritto, nè ai fini della misura dell’assegno sociale. (…) In definitiva la stessa Corte d’appello, invece di dare rilievo allo stato di bisogno effettivo da accertarsi sulla base delle norme di legge (ovvero attraverso la verifica tra la dichiarazione presentata all’atto della domanda e la dichiarazione dei redditi effettivamente percepiti presentata l’anno successivo), ha attribuito rilevanza ad un reddito presunto di cui nella legge non vi è traccia.”.
La Corte di Cassazione, pertanto, ha chiarito che, come risulta dalla menzionata disciplina, la legge prevede, al contrario, come unico requisito, uno stato di bisogno accertato, caso per caso, non solo per concedere ma anche per mantenere la tutela di base assistenziale per gli anziani nel nostro Paese.
Inoltre, come ulteriormente chiarito dai precedenti della medesima Corte “Non vi è…nè nella lettera nè nella ratio della L. n. 335/1995, art. 3, comma 6, alcuna indicazione circa il fatto che lo stato di bisogno, per essere normativamente rilevante, debba essere anche incolpevole: al contrario, la condizione legittimante per l’accesso alla prestazione assistenziale rileva nella sua mera oggettività. La previsione secondo cui il reddito rilevante ai fini del diritto all’assegno “è costituito dall’ammontare dei redditi (…) conseguibili nell’anno solare di riferimento” dev’essere infatti interpretata in stretta connessione con quella immediatamente successiva, secondo cui, come appena ricordato, l’assegno “è erogato con carattere di provvisorietà sulla base della dichiarazione rilasciata dal richiedente ed è conguagliato (…) sulla base della dichiarazione dei redditi effettivamente percepiti”: vale a dire che all’assistito è richiesto soltanto di formulare una prognosi riguardante i redditi percepibili in relazione allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della domanda, fermo restando che la corresponsione effettiva dell’assegno dovrà essere parametrata a ciò che di tali redditi risulti “effettivamente percepito””, aggiungendosi, assai incisivamente, che “tale conclusione s’impone in ragione del fatto che il sistema di sicurezza sociale delineato dalla Costituzione non consente di ritenere in via generale che l’intervento pubblico a favore dei bisognosi abbia carattere sussidiario, ossia che possa aver luogo solo nel caso in cui manchino obbligati al mantenimento e/o agli alimenti in grado di provvedervi: basti ricordare che l’art. 3, comma 2, Cost. prefigura un generale impegno a rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana; che l’art. 38 enuncia il diritto di ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere al mantenimento e all’assistenza sociale; che l’art. 32, nell’attribuire il diritto alla salute ad ogni individuo, assicura cure gratuite agli indigenti; che l’art. 34 prevede che il diritto allo studio debba essere assicurato in modo che i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, possano raggiungere i più alti gradi dell’istruzione; che gli artt. 31 e 37 delineano forme ampie e generalizzate di protezione per la maternità, l’infanzia e la gioventù, di aiuto e sostegno alla famiglia, nell’adempimento dei suoi compiti, e di tutela e garanzia per la madre lavoratrice e l’adolescente lavoratore. Ciò val quanto dire che il rapporto tra prestazioni pubbliche di assistenza e obbligazioni familiari a contenuto latamente alimentare va costruito sempre in relazione alla speciale disciplina che istituisce e regola la prestazione che si considera, alla quale sola bisogna riferirsi per comprendere in che modo sulla sua corresponsione possa incidere la sussistenza di eventuali obbligati al mantenimento e/o agli alimenti: opinare il contrario equivarrebbe appunto a supporre che l’obbligo dello Stato di provvedere ai bisognosi sussiste solo in via sussidiaria, ciò che, escludendo in radice ogni possibilità di libera scelta tra le due forme di protezione, finirebbe per lasciare tali soggetti alla mercè delle vischiosità dei rapporti familiari, impedendo alla collettività di garantirne la personalità, l’autonomia e la stessa dignità, in spregio alla lettera e all’intonazione dei principi costituzionali dianzi ricordati”.
La Corte, pertanto, ha definito la questione chiarendo che erroneamente la sentenza impugnata ha rigettato la domanda sul rilievo che l’accettazione, in sede di separazione consensuale, di un assegno di mantenimento non adeguato potesse equivalere ad ammissione dell’insussistenza dello stato di bisogno o comunque valesse ad escludere la configurabilità del predetto requisito.