
C. Cass., Ord. n. 19621/2022: il lavoratore che presta la propria attività lavorativa in un ambiente insalubre ha diritto al risarcimento del danno morale
21 Luglio 2022
Riconoscimento dell’assegno sociale e rinuncia all’assegno di mantenimento: C. Cass., Ordinanza n. 23307/2022
8 Agosto 2022La Corte di Cassazione è intervenuta sul tema con l’ordinanza n. 21865/2022, con la quale ha chiarito l’ambito operativo della condotta di c.d. mobbing operata dal datore di lavoro ai danni del dipendente.
Nella fattispecie, la questione riguardava il caso di un medico, il quale aveva agito in giudizio nei confronti dell’Azienda Ospedaliera per la quale lavorava, assumendo di essere stato professionalmente dequalificato e di avere subito condotte mobbizzanti da parte del datore di lavoro e, a motivo di ciò, chiedendo il risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, che ne erano derivati.
Il Tribunale di Cremona, adito in primo grado, respingeva la domanda e, pertanto, il lavoratore adiva la Corte di Appello di Brescia, la quale – tuttavia – respingeva l’appello confermando integralmente la sentenza di prime cure.
La questione, pertanto, giungeva sino alla Suprema Corte, la quale ha colto l’occasione per richiamare la consolidata giurisprudenza precedentemente espressa in materia dalla medesima Corte.
Nello specifico la Corte di Cassazione ha chiarito che: “Ai fini della configurabilità di una ipotesi di mobbing, non è condizione sufficiente l’accertata esistenza di una dequalificazione o di plurime condotte datoriali illegittime, essendo a tal fine necessario che il lavoratore alleghi e provi, con ulteriori e concreti elementi, che i comportamenti datoriali siano il frutto di un disegno persecutorio unificante, preordinato alla prevaricazione” (così anche C. Cass., Sent. n. 10992/2020); “È configurabile il mobbing lavorativo ove ricorra l’elemento obiettivo, integrato da una pluralità di comportamenti del datore di lavoro, e quello soggettivo dell’intendimento persecutorio del datore medesimo” (C. Cass., sent. n. 12437/2018); “Nell’ipotesi in cui il lavoratore chieda il risarcimento del danno patito alla propria integrità psico-fisica in conseguenza di una pluralità di comportamenti del datore di lavoro e dei colleghi di lavoro di natura asseritamente persecutoria, il giudice del merito è tenuto a valutare se i comportamenti denunciati possano essere considerati vessatori e mortificanti per il lavoratore e se siano causalmente ascrivibili a responsabilità del datore che possa esserne chiamato a risponderne nei limiti dei danni a lui specificamente imputabili”. In definitiva, pertanto, ciò che sarà necessario verificare al fine di ricondurre la condotta datoriale nell’ambito applicativo del c.d. “mobbing” sarà la complessità e la pluralità dei comportamenti del datore di lavoro nei riguardi del dipendente, i quali – si badi – dovranno rivestire i caratteri della unitarietà del disegno persecutorio.