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8 Marzo 2024Un interessante arresto della Suprema Corte ha stabilito che ai fini della configurabilità dell’infortunio sul lavoro, non è sufficiente che sussista la causa violenta e che tale causa abbia coinvolto l’assicurato nel luogo ove egli svolge le sue mansioni – comprensivo del percorso da e per il lavoro- ma è necessario che tale causa sia connessa all’attività lavorativa, nel senso cioè che inerisca a tale attività o sia, almeno, occasionata dal suo esercizio (Cassazione civile, Sez. lav, ordinanza 25 settembre 2023, n. 27279)
Nel ricorso che ha dato luogo alla pronuncia in commento i ricorrenti avevano affermato che, esclusa l’ipotesi di un atto autolesivo, ogni altra causa doveva reputarsi idonea a determinare l’operatività della copertura assicurativa.
Gli Ermellini hanno ritenuto il motivo infondato, per le ragioni che vanno di seguito ad illustrarsi.
Come noto, il D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 2, detta la norma fondamentale della materia, secondo la quale l’assicurazione comprende tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in «occasione di lavoro»; sulla nozione di «occasione di lavoro», la giurisprudenza di legittimità precisa che tale condizione si realizza ogniqualvolta lo svolgimento di un’attività lavorativa, pur non essendo la causa, costituisce l’occasione dell’infortunio e cioè quando determini l’esposizione del soggetto protetto al rischio di esso, dando luogo ad un nesso eziologico, seppur mediato e indiretto.
Il comma aggiunto dal D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, art. 12, al D.P.R. n. 1124/1965, art. 2, alle condizioni specificamente previste, assimila, alla esecuzione della prestazione, gli spostamenti necessari per recarsi sul luogo di lavoro (cd. infortunio in itinere); non incide, però, sul requisito dell’occasione di lavoro, da riferire, in tal caso, al nesso con la necessità degli spostamenti e dei percorsi.
In estrema sintesi, può affermarsi che, ai fini della tutela in oggetto, non è sufficiente che sussista la causa violenta e che tale causa abbia coinvolto l’assicurato nel luogo ove egli svolge le sue mansioni – comprensivo del percorso da e per il lavoro- ma è necessario che tale causa sia connessa all’attività lavorativa, nel senso cioè che inerisca a tale attività o sia, almeno, occasionata dal suo esercizio.
Il principio esposto è valso ad escludere l’occasione di lavoro, in particolare, per i fatti delittuosi da parte di terzi, in alcun modo connessi con il lavoro.
In tal caso, infatti, la «mera presenza» dell’infortunato sul posto di lavoro e la coincidenza temporale dell’infortunio con la prestazione lavorativa possono costituire soltanto un «indizio» della sussistenza del rapporto «occasionale» e non la prova di esso, posto che non può escludersi che l’evento dannoso sarebbe stato comunque consumato dall’aggressore, ricercando l’occasione propizia anche in tempo e luogo diversi da quelli della prestazione di lavoro (in argomento, v. Cass., Sez. Un., n. 17685/2015, in continuità con l’orientamento espresso in precedenza, tra le altre, da Cass. n. 13599/2009).
Può dirsi, allora, che la protezione assicurativa e solidaristica incontra il limite del «pericolo individuale», nel senso cioè che si arresta in presenza di una situazione di rischio personale alla quale solo la vittima è esposta, ovunque si rechi o si trovi, perché ingenerata da motivi individuali ed extralavorativi (sulla scia delle sezioni unite cit., v. anche Cass. n. 31485/2021).
La tutela, in definitiva, non consegue alla mera circostanza che l’infortunio si sia verificato nel tempo e nel luogo della prestazione lavorativa, occorrendo invece, come requisito essenziale «la sussistenza del […] nesso tra lavoro e rischio, nel senso che il lavoro determina non tanto il verificarsi dell’evento quanto l’esposizione a rischio dell’assicurato» (Cass. n. 32473/2021, in motivazione).
Ciò posto, la decisione della Corte di appello resiste, per il Collegio, alle censure dei ricorrenti.
Deve considerarsi che la sentenza impugnata benché affermi l’incertezza in ordine alle modalità di verificazione dell’evento, accredita, in realtà, quale causa altamente verosimile dell’infortunio, il «fatto doloso del terzo», privo, però, di collegamento con l’attività lavorativa.
Si legge, infatti, in punto di «ricostruzione dei fatti» che, come è evincibile dalla consulenza disposta dal PM, «l’infortunio non è consistito né in precipitazione da altezza, né in caduta accidentale da stazione eretta in conservazione di coscienza, (per)ché secondo l’esperto medico legale nominato dall’ufficio requirente, si è trattato di un colpo in testa inferto con un corpo contundente a superficie solida, ampia, priva di sporgenze».
Indiscussa, altresì, dal tenore della pronuncia, l’estraneità del collega di lavoro, il riportato passaggio decisionale indica, con evidenza, quale fattore eziologico dell’evento, una condotta aggressiva che la Corte di merito non ha giudicato «occasionata» dall’esecuzione del lavoro (itinerario seguito per raggiungere il cantiere a bordo del camion aziendale), neppure in via mediata e indiretta, e ha ritenuto estranea alla protezione assicurativa e solidaristica.
Avv. Amedeo Di Odoardo