
BREAKING NEWS LEGAL ABC!CONGEDO PATERNITA’: OBBLIGO E NON MERA FACOLTA’BREAKING NEWS LEGAL ABC!
22 Febbraio 2023
Art. 100 TULPS: Quando è ravvisabile l’eccesso di potere da parte dell’Autorità che irroga il provvedimento sospensivo.
18 Marzo 2023Il Tribunale di Roma è intervenuto in materia di legittimità del licenziamento, avendo specifico riguardo ad un licenziamento intimato ad una lavoratrice transessuale nell’ambito di un lavoro a progetto, la cui identità sessuale era stata comunicata qualche giorno dopo rispetto all’assunzione.
Nello specifico, con ricorso depositato il 20.2.20 la ricorrente deduceva di aver sottoscritto con la società resistente un contratto di lavoro a progetto della durata di nove mesi, con mansioni di docente presso la scuola paritaria “I.K.” e di aver effettivamente svolto tali mansioni fino al momento in cui le veniva recapitata una missiva di preavviso di risoluzione del rapporto, senza indicazione delle motivazioni. A detta della ricorrente il recesso era stato in realtà determinato da ragioni discriminatorie legate al proprio stato di donna transessuale, come aveva potuto desumere attraverso colloqui avuti con la Preside e con dei colleghi.
Dall’altro lato, la società datrice di lavoro deduceva come il contratto di collaborazione concluso tra le parti, contemplava la possibilità di recesso unilaterale da parte della società prima della scadenza, con preavviso scritto di quindici giorni, e ciò “secondo le previsioni degli artt. 1456, 2237 c.c. e del CCNLP a cui le parti aderiscono”, e dunque, sia per scelta unilaterale che per inadempimento della controparte. La società, pertanto, riteneva del tutto legittimo il licenziamento.
Il Tribunale di Roma si è espresso sulla questione con la sentenza indicata in epigrafe, rilevando come la giurisprudenza di legittimità, dopo un iniziale contrasto degli anni ottanta, sia oramai consolidata nel ritenere che “la previsione della possibilità di recesso ad nutum del cliente nel contratto di prestazione d’opera intellettuale, quale contemplata dall’art. 2337 c.c., comma 1, non ha carattere inderogabile e, quindi, è possibile che per particolari esigenze delle parti sia esclusa una tale facoltà di recesso fino al termine del rapporto; sicché anche l’apposizione di un termine ad un rapporto dicollaborazione professionale continuativa può essere sufficiente ad integrare la deroga pattizia alla facoltà di recesso così come disciplinata dalla legge, senza che a tal fine sia necessario un patto specifico ed espresso” (Cass. 1 ottobre 2008 n. 2436, Cass. 21 dicembre 2006 n. 27293, Cass. 6 maggio 2000 n. 5738 e Cass. 8 settembre 1997 n. 8690).
È stato, inoltre, di recente affermato dalla Suprema Corte che “intanto la predeterminazione di un termine di durata del contratto può integrare rinuncia da parte del cliente al recesso ove dal complessivo regolamento negoziale possa inequivocabilmente ricavarsi la volontà delle parti di vincolarsi per la durata del contratto, vietandosi reciprocamente il recesso prima della scadenza del termine finale”; sicchè, in caso di previsione di un termine finale al contratto di collaborazione occorre appurare se, nel caso concreto, in relazione alle pattuizioni convenute, le parti avessero inteso unicamente stabilire la durata massima del rapporto o piuttosto avessero voluto escludere il recesso ad nutum del cliente prima di tale data (Cass. Civ., sez. lav. 7.9.18 n. 21904 ; Cass. Civ., sez. lav., 7.10.13 n. 22786 ).
Nel caso in esame le parti contraenti, laddove hanno apposto un termine finale al contratto di collaborazione professionale con la professoressa ricorrente, lo hanno fatto con l’ intento di collegare la durata della docenza a quella dell’anno scolastico, ma non hanno evidentemente inteso con ciò escludere, sia per la professoressa che per la società, la possibilità di recedere ad nutum dal contratto, avendo invece espressamente previsto tale diritto di recesso anche a favore della società, e dunque la possibile revoca dell’ incarico, salvo un preavviso di 15 giorni, richiamando in proposito la disciplina dell’art. 2237 c.c., che riconosce al cliente il diritto al recesso unilaterale.
Tuttavia, deve essere comunque rilevato che, anche qualora un contratto preveda il diritto di recesso “ad nutum” in favore di una delle parti, “il giudice del merito non può esimersi dal valutare se l’esercizio di tale facoltà sia stato effettuato nel pieno rispetto delle regole di correttezza e di buona fede cui deve improntarsi il comportamento delle parti del contratto, atteso che la mancanza della buona fede in senso oggettivo, espressamente richiesta dagli artt. 1175 e 1375 c.c. nella formazione e nell’esecuzione del contratto, può rivelare un abuso del diritto, pure contrattualmente stabilito, ossia un esercizio del diritto volto a conseguire fini diversi da quelli per i quali il diritto stesso è stato conferito. Tale sindacato, da parte del giudice di merito, deve pertanto essere esercitato in chiave di contemperamento dei diritti e degli interessi delle parti in causa, in una prospettiva anchedi equilibrio e di correttezza dei comportamenti economici” (in tal senso Cass. Civ., sez. II, 29.5.20 n. 10324; Cass. Civ., sez. III, 18.9.09 n. 20106).
Orbene, nella fattispecie che ci occupa occorre valutare se la società abbia esercitato il proprio diritto di recesso unilaterale per ragioni legate alla condizione di transessuale della ricorrente, e dunque per motivi discriminatori che sicuramente esulano dalla ratio della norma che consente il recesso ad nutum, integrando in tal caso un abuso del diritto, o piuttosto per motivi legati a scelte prettamente professionali, perfettamente lecite.
Nella fattispecie il Tribunale di Roma ha ritenuto raggiunta tale prova e, pertanto, il licenziamento è stato qualificato come discriminatorio.
Avv. Cecilia Di Guardo