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28 Gennaio 2022Le prassi o usi aziendali configurano dei comportamenti reiterati nel tempo dalla parte datoriale del rapporto nei confronti dei lavoratori, i quali si traducono in dei benefici (ad esempio un trattamento retributivo di maggior favore rispetto a quello previsto nell’ambito della contrattazione collettiva) in favore dei lavoratori.
Orbene, assai di recente, è intervenuta sulla questione una sentenza resa dalla Corte d’Appello di Milano, Sezione Lavoro (sent. n. 1287/2021), con la quale il Giudice ha determinato circa la legittimità o meno del recesso unilaterale da parte del datore di lavoro dagli usi aziendali adottati.
Nello specifico la vicenda prendeva le mosse dall’azione promossa in primo grado da taluni lavoratori impiegati presso una ditta, il cui datore di lavoro aveva revocato loro l’applicazione di talune maggiorazioni per varie indennità di differente natura – tra cui indennità di turno al lavoro straordinario e indennità sostitutiva di mensa – le quali prevedevano un trattamento economico migliore rispetto a quanto previsto nell’ambito del CCNL di categoria, e che erano state riconosciute per alcuni nell’ambito del contratto di assunzione, per altri sulla base della c.d. “prassi aziendale”.
Nella fattispecie i trattamenti migliorativi di cui sopra erano stati revocati da parte del datore di lavoro attraverso un contratto integrativo aziendale e, a tal proposito, alcuni lavoratori ne rivendicavano l’illegittimità in quanto tale contratto non aveva ricevuto sottoscrizione da parte dei sindacati provinciali, bensì solo ed esclusivamente da parte di un singolo sindacato rappresentativo di una sola porzione dei lavoratori impiegati presso l’impresa.
La questione giungeva alla Corte d’Appello di Milano e, nello specifico, i lavoratori soccombenti in primo grado lamentavano la violazione dell’accordo interconfederale sottoscritto tra Confindustria e CGIL, CISL e UIL del 28 giugno 2011 e del Testo Unico sulla Rappresentanza del 10 gennaio 2014, secondo i quali la competenza in materia di contrattazione aziendale sarebbe attribuibile alle Rappresentanze Sindacali Unitarie ed alle Rappresentanze Sindacali Aziendali create presso la singola unità di produzione.
Orbene, il Giudice di seconde cure rigettava le doglianze promosse dai lavoratori chiarendo che: “Rientra, infatti, nella facoltà del datore di lavoro recedere dall’uso precedentemente formatosi, atteso che il recesso unilaterale rappresenta una causa estintiva ordinaria di qualsiasi rapporto di durata a tempo indeterminato, che risponde all’esigenza di evitare vincoli obbligatori perpetui…” e prosegue: “…Inoltre, in caso di recesso unilaterale da un uso aziendale, al pari di quanto accade in caso di disdetta di un contratto collettivo, i diritti derivanti dalla pregressa disciplina più favorevole sono intangibili solo in quanto siano già entrati nel patrimonio del lavoratore quale corrispettivo di una prestazione già resa o di una fase del rapporto già esaurita, mentre al di fuori di queste ipotesi essi sono naturalmente destinati a venir meno al mutare dell’assetto negoziale collettivo, di cui seguono le sorti, non potendo le precedenti disposizioni essere conservate secondo il criterio del trattamento più favorevole ex art. 2077 c.c., che riguarda il rapporto tra contratto collettivo e contratto individuale…”.
Da quanto affermato dalla Corte d’Appello, pertanto, aderendo ad un consolidato indirizzo fornito dalla Corte di Cassazione, l’uso aziendale non subisce un’“incorporazione” nei contratti collettivi, bensì agisce dall’esterno sui singoli rapporti di lavoro, sicché esso può essere modificato da un successivo accordo collettivo anche in senso peggiorativo per i lavoratori (cfr. ex multis Cass. n. 3296/2016 e precedenti ivi citati).
Ulteriore corollario chiarito dal Giudice di seconde cure è che, così come il contratto collettivo che non abbia un predeterminato termine di efficacia “non può vincolare per sempre tutte le parti contraenti, perché finirebbe in tal caso per vanificarsi la causa e la funzione sociale della contrattazione collettiva, la cui disciplina, da sempre modellata su termini temporali non eccessivamente dilatati, deve parametrarsi su una realtà socio economica in continua evoluzione, sicché a tale contrattazione va estesa la regola, di generale applicazione nei negozi privati, secondo cui il recesso unilaterale rappresenta una causa estintiva ordinaria di qualsiasi rapporto di durata a tempo indeterminato, che risponde all’esigenza di evitare – nel rispetto dei criteri di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto – la perpetuità del vincolo obbligatorio” (così Cass. n. 23105/2019), in ugual maniera deve ritenersi che anche l’uso aziendale, privo di termine di efficacia, possa essere caducato secondo le regole che sono proprie della contrattazione collettiva e dunque anche mediante recesso unilaterale.